Tra gli effetti negativi dell’agricoltura intensiva e dell’annesso sistema di distribuzione, non vi è solo l’inquinamento.
Vi è anche un calo drammatico della biodiversità, ossia della varietà e della qualità del cibo prodotto.
Biodiversità sacrificata
Perché in nome dell’abbondanza, per ottimizzare al massimo la produzione, la monocoltura si concentra ovviamente sulla coltivazione di poche varietà di semi selezionati e geneticamente selezionati, al fine di renderli più resistenti ai parassiti e alle intemperie.
Non interessa se i frutti e le verdure saranno buoni e salutari. E’ più importante che siano tanti, e resistenti. La necessità è quella di arrivare sulle tavole di tutti, di vendere il più possibile, e a costi di produzione il più bassi possibili. È una vera e propria industria, quella alimentare.
Questo ha portato a perdere molta della biodiversità che i nostri nonni ci avevano lasciato.
Biodiversità: qualche dato
Dati del 1903 parlano di 3879 varietà di tipologie di ortaggi “censiti”. Nel 1983 le varietà erano già scese a 307: un dodicesimo (Fonte: National Storage Seed Laboratory). Prendiamo il caso dei cetrioli. Nel 1903 c’erano ben 285 tipi di cetrioli. Nel 1983 il loro numero si era ridotto a sole 16 varietà.
Non conosco i dati aggiornati ad oggi, ma possiamo ragionevolmente dedurre che la situazione non sia migliorata.
Tu dirai: va bene, è stata sacrificata la biodiversità, ma almeno oggi c’è cibo per tutti. Tutti possono avere sulla loro tavola i prodotti della terra, anche quelli di paesi lontani. Se fosse vero, ti darei ragione. Purtroppo è vero il contrario. Ancora oggi, una persona su sette al mondo fatica ad avere qualcosa da mangiare nel piatto ogni giorno, e risulta quindi denutrita.
Abbiamo messo a rischio l’ambiente, inquinato l’aria, modificato geneticamente i semi e ridotto le varietà vegetali. Eppure qualcuno starà ancora pensando: «Forse non abbiamo spinto abbastanza la produzione. Se una persona su sette muore ancora di fame o comunque fa fatica ad avere accesso al cibo, si vede che non stiamo producendo abbastanza. Dovremmo spingere ancora la produzione, magari esasperare ulteriormente le monoculture. Dobbiamo inventarci un modo per aumentare ancora la quantità».
Carenza di cibo: non è un problema di quantità
Eppure c’è chi dice esattamente il contrario. Come l’economista indiano Amartya Sen, premio Nobel per la Pace, che sostiene fermamente che il problema non sia legato alla quantità, ma al modo in cui il cibo viene reso accessibile, viene distribuito.
«Se continueremo a guardare alla fame solo in termini di quantità di produzione alimentare, non riusciremo a risolvere il problema. Il mondo produce già cibo a sufficienza. Il problema è l’accesso al cibo».
Niente di più vero, se solo pensi a quanto cibo viene sprecato nelle società occidentali. Cibi scaduti o invenduti sugli scaffali dei supermercati, cibi avanzati al ristorante o anche nelle nostre case. Mentre dalla parte opposta del mondo c’è gente che il cibo non ce l’ha.
Ma perché il Sistema mantiene queste inefficienze e disparità?
Che ci credi o meno, il cibo è uno degli strumenti di controllo più potenti del Sistema, a livello economico e politico. C’è quindi qualcuno che ha interesse a decidere “se”, “come” e “quanto” cibo farci arrivare.
È attraverso la scarsità di una risorsa che è possibile controllare chi quella risorsa fa fatica a procurarsela. E così il nostro sistema si basa sulla scarsità. Scarsità di denaro, scarsità di cibo.
Controlla il petrolio e controllerai le Nazioni
Il controllo della società attraverso la scarsità è un modello socio-economico-politico teorizzato da Henry Kissinger, ex consigliere del Consiglio di Sicurezza degli Stati Uniti (carica che ha ricoperto dal 1969 al 1977) e premio Nobel per la Pace nel 1973 (e bisognerebbe aprire una parentesi sui legami tra le commissioni per i premi Nobel e il Sistema stesso, dato che oltre a Kissinger, anche Obama pare ne abbia vinto uno sempre per la pace…).
Una delle frasi più celebri di Kissinger è: «Control oil, and you control nations».
(Controlla il petrolio e controllerai le nazioni).
Ti dice nulla questa frase, alla luce della politica estera adottata dagli Stati Uniti?
Ma c’è una frase meno celebre, ma ancora più scioccante dello stesso Kissinger, che dice: «Control food, and you control the people».
(Controlla il cibo, e controllerai la gente).
E come si può controllare il cibo?
La risposta è duplice: controllando la terra e controllando i semi.
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