Nel 2009, l’economia greca palesò una crisi tale da mettere in dubbio la solidità finanziaria di tutta l’Europa, la cui economia a sua volta rischiò di essere trascinata verso il basso.
Per la prima volta dal 1993, infatti, in Grecia si registrò un anno di recessione. Il PIL, il Prodotto Interno Lordo, cominciò a diminuire.
DENARO E CRISI
A fine 2009, il primo ministro George Papandreou dichiarò il rischio di fallimento. Per evitare ciò il governo fu costretto a varare, all’inizio del marzo 2010, una serie di misure volte a sanare i conti pubblici. Tra queste ci fu il blocco degli stipendi dei dipendenti pubblici e una riforma del sistema pensionistico. Ma la crisi greca non si risolse e il 2010 fu un anno ancora più “nero”.
Poiché volli studiare bene il caso, mi documentai approfonditamente. Quando giornali, televisione e media presentano i dati relativi ai bilanci statali, spesso ci presentano numeri incompleti e fuorvianti. Dati che non permettono un’analisi chiara della reale situazione economica del paese in causa.
Analizzando con attenzione i dati ho scoperto che nel dicembre 2010, il deficit annuale dello Stato greco toccò il 26%. In sostanza, il governo greco incassava 100 e spendeva 126. La situazione fu tale che l’agenzia di rating Moody’s tagliò ulteriormente il rating della Grecia, portandolo alla valutazione CCC-. In sostanza era “l’ ultima della classe”.
Era ovvio: con un bilancio pubblico del genere, quale altra valutazione avrebbero potuto ottenere?
A quel punto, decisi di guardare anche “i primi della classe”. Ovvero gli Stati Uniti. Visto che tutti parlavano male della Grecia, mi chiedevo come stavano gli altri. Ossia quelli che invece sono additati come il buon esempio dell’economia.
Sempre nel 2010, gli Stati Uniti e i loro titoli di stato avevano un rating AAA+. Ma qual era il loro deficit?
Ebbene, il loro deficit statale era del 59%, addirittura più di due volte quello greco.
A parte il fatto che diventa difficile comprendere come si possa dare un rating massimo a un paese che ha un deficit doppio della Grecia. Un dato così pesante indica che la crisi e quindi il debito per lo Stato è un problema di tipo strutturale. Non dipende cioè da una singola annata andata male, ma è il frutto di un’economia statale in crisi. Un’ economia che perpetua la difficoltà a superare con le sue entrate quelle che sono le sue spese reali.
Infatti, solo un paio di volte, negli anni Ottanta, durante la presidenza di Ronald Regan, il bilancio statale americano è riuscito ad andare in pareggio. In tutti gli altri anni, per tutto il XX Secolo fino ad oggi, le spese sono sempre state maggiori delle entrate. E i debiti totali sono andati via via crescendo.
E notate bene che non è solo lo Stato negli Usa ad essere sempre più in debito ed in crisi, ma anche tutte le sue imprese private e cittadini. Infatti, per quanto riguarda il dato del 2010, se si somma il debito del governo americano a quello delle famiglie e delle imprese americane, si arriva all’esorbitante cifra di 55mila miliardi di dollari. Per darvi un’idea, nel 1955 quello stesso dato era di “appena” un undicesimo: 5mila miliardi di dollari.
Quindi, è chiaro che il debito di governi, famiglie e imprese (non solo americani, ma di tutta l’economia dei paesi occidentali) non fa altro che salire. E a ritmi vertiginosi.
CHI DECIDE I DATI
I dati relativi ai deficit di Grecia e Stati Uniti li ho ricavati da Wikipedia. Non è stato così semplice, dato che gli ordini di grandezza e le modalità con cui vengono presentati sembrano variare spesso. Ed inoltre essere stranamente “disordinate” e fuorvianti. Wikipedia riporta a sua volta come fonte il “World Economic Fact Book” (il Libro dei Fatti dell’Economia). Si tratta di un volume redatto e diffuso tutti gli anni.Non indovinereste mai da chi… Dalla CIA, cioè dai servizi segreti americani.
É la CIA a dettare i parametri secondo i quali i dati vanno calcolati e il modo in cui essi debbano essere divulgati. Evidentemente l’intelligence americana reputa i dati sull’economia statale una “questione di sicurezza nazionale”. Fa di tutto per presentarli – o dovremmo dire “manipolarli” – in modo da essere sempre meno chiari a chi li legge. Inoltre sono sempre più difficili da collegare all’economia reale. Sarebbero altrimenti troppo impressionanti e alimenterebbero chiari dubbi sulla solidità del Sistema.
In Italia la situazione non è delle migliori.
Nel 2010, il nostro Pil era di 2mila miliardi di dollari. Vuol dire che quell’anno, tutta la nostra economia ha mosso quella ricchezza. In quello stesso anno, il nostro debito pubblico era pari a 2400 miliardi di dollari, cioè corrispondeva al 120% del Pil. Questo dato lo abbiamo sentito spesso, alla radio, sui giornali o in televisione.
Inoltre, sempre in quell’anno, lo Stato Italiano sostenne una spesa pubblica di 1070 miliardi di dollari. Ciò significa che più del 50% del nostro Pil è stato generato dalla spesa pubblica. Cioè dall’erogazione di quei servizi e dal mercato di quelle attività che sono finanziate dallo Stato.
E tutti quelli – politici ed economisti – che sostengono che per rilanciare l’economia bisogna tagliare la spesa pubblica? Se noi abbassassimo la spesa pubblica, che costituisce più del 50% del nostro Pil, come possiamo pretendere di alzare il Pil? Non vi sembra un controsenso? Significa che spesso nemmeno i politici e i giornalisti hanno ben chiare le grandezze messe in gioco nell’economia.
In effetti, attraverso le entrate pubbliche (Iva, accise, tasse…), nel 2010 lo Stato Italiano ha ricavato qualcosa come 960 miliardi di dollari. Gli altri 110 miliardi di dollari sono andati a costituire il deficit del bilancio statale, e sono stati finanziati con nuovi debiti. I nuovi debiti sono andati a sommarsi ai vecchi debiti, accumulati negli anni precedenti. È qualcosa che succede fin dai primi del Novecento, tutti gli anni, governo dopo governo.
Aumentando il debito, aumentano anche gli interessi da pagare su quel debito.
È un circolo vizioso, destinato a non avere alcuna inversione di tendenza. La crisi finanziaria di questi anni è dovuta ad una serie di eccessi cui è stato portato il Sistema ed è una reazione che condurrà ad un riassestamento delle dinamiche di funzionamento della nostra società, sia di quelle monetarie che di quelle di consumo e di impatto ambientale.
Una crisi è come la febbre alta in un corpo infettato da un virus: serve ad uccidere il virus e a permettere al corpo di rimettersi in salute. Nella medicina olistica e orientale la febbre è una reazione utile, e va fatta “sfogare”. Nella medicina occidentale invece la si “abbassa” con dei farmaci per evitare il fastidio fisico derivante, allungando però la durata della malattia o rendendo meno chiara o efficace l’auto-guarigione.
Il sistema monetario occidentale è ormai da anni sotto “cortisone”, per abbassare e ritardare gli effetti di un virus che ne ha ormai minato gravemente la salute. Questo virus si chiama debito. Dopo decenni in cui la sua crescita ha alimentato il nostro benessere, ci rendiamo conto di quanto è letale.
PIL, DROGA, CONTRABBANDO E PROSTITUZIONE
La notizia ha dell’incredibile, ma è vera. In Italia, come nel resto dei Paesi europei, le “attività illegali” quali i traffici legati alla droga, alla prostituzione e al contrabbando di sigarette o alcool sono entrate a tutti gli effetti nella misura del Pil. Questo in ottemperanza del principio secondo il quale le stime devono essere esaustive. Cioè comprendere tutte le attività che producono reddito, indipendentemente dal loro status giuridico.
Parola dell’Istat, che a partire dall’autunno 2014 si è allineata alle indicazioni europee. Il sistema Ue, infatti, prevede l’inserimento delle attività illegali nel Prodotto Interno Lordo per tutti i Paesi europei.
Cosa comporta tutto questo? Per darvi un’idea, prendiamo come riferimento il sommerso (il lavoro in “nero”, per intenderci). Questo era già da anni inglobato nel paniere del Pil e secondo la stima dell’Istat relativa al 2008 valeva da solo 255-275 miliardi di euro.
D’altra parte il “nero” si distingue dall’illegalità, coprendo solo ciò che sfugge allo Stato attraverso l’evasione fiscale. Ora si è andato oltre, aggiungendo il valore di scambi illegali: commercio di sostanze stupefacenti, prostituzione e contrabbando.
Certo, ammette l’Istat, «la misura di tali attività è molto difficile». Ovvio: i dati relativi alle attività illegali sono dati difficili da stimare. Perciò facili da manipolare.
Articolo estratto dal libro “Liberi dal Sistema – La Guida per Cambiare il Mondo Partendo da Sè” di Enrico Caldari.
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